Oltre 100 milioni di persone in Europa soffrono di Dolore Cronico

Oltre 100 milioni di persone in Europa soffrono di Dolore Cronico

Per prima cosa è necessario sapere che a gennaio 2022 è entrata in vigore l’ultima revisione dell’International Classification of Diseases (ICD-11), che include importanti cambiamenti e aggiunte che riguardano le persone che convivono con il Dolore Cronico e gli specialisti della gestione del dolore.

Nella nuova definizione il dolore viene riconosciuto come esperienza spiacevole sia dal punto di vista sensoriale che emozionale, associata a un danno tissutale reale o potenziale o che comunque presenta elementi di somiglianza con una situazione di danno tissutale.

Attualmente le prassi nei contesti di cura per il Dolore Cronico, appaiono ancora fortemente ancorate al modello bio-medico. Questo tipo di approccio ipotizza l’esistenza di una relazione lineare tra la manifestazione dolorosa e la presenza di una modificazione strutturale nella colonna vertebrale o nei muscoli, trascurando ogni tipo di esperienza dolorosa del paziente che sfugga a questa visione riduzionista.

Come già sottolineato in un altro precedente articolo, gli stessi chirurghi hanno insistito in passato in maniera troppo forte sul trattamento chirurgico delle patologie caratterizzate dalla presenza di Dolore Cronico, generando anche dei fallimenti.

Per troppo tempo, inoltre, anche i professionisti della riabilitazione hanno ecceduto nel sottoporre i pazienti a troppi e spesso inutili trattamenti, a volte anche in espressa contrapposizione con quanto suggerito dal chirurgo spinale.

A tale riguardo ho personalmente espresso tutto il mio consenso e appoggio alla Regione Lombardia circa la delibera del luglio 2019 in cui si esaminava l’eccessivo ricorso all’attività chirurgica degli ultimi anni.

D’altra parte bisogna anche prestare molta attenzione nel non “demonizzare” l’intervento chirurgico. Esso rappresenta la soluzione migliore e ottimale per tutti quei casi in cui il paziente presenta uno squilibrio tale da non poter essere trattato in altro modo.

Il dolore, quindi, non è solo espressione di una “malattia della schiena”, ma deve necessariamente considerare anche altri aspetti, primo fra tutti quello psico-sociale.

Si sta passando, quindi, da un modello bio-medico a uno bio-psico-sociale, dove la cognizione gioca un ruolo molto rilevante nel percorso di cura del paziente.

A tale riguardo, è sufficiente considerare che il perdurare di una condizione di Dolore Cronico interessa anche l’aspetto psicologico ed emotivo, determinando peggioramenti nonché riduzione dell’efficacia nei trattamenti medici.

Ne consegue l’importanza di procedere con un’individuazione precoce di alcuni aspetti psicologici e psico-sociali, in quanto generano consistenti vantaggi in termini di successo dei trattamenti, oltre che di mantenimento dei risultati.

È inutile continuare a realizzare solamente trattamenti sulla colonna vertebrale (es. frattura, ernia, stenosi ecc…) senza considerare il paziente nel suo insieme. Occorre comprendere appieno anche i sentimenti, i pensieri e la storia individuale, ovvero, la complessa interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali del paziente.

Tale tendenza consente oggi finalmente di instaurare quella giusta collaborazione tra diverse figure professionali in grado di generare risultati molto più validi.

La co-creazione della terapia – come spesso affermo – rappresenta un passaggio fondamentale della medicina moderna e consente di individuare e realizzare un processo di guarigione più completo e soprattutto duraturo per il paziente.

Tale affermazione è ancora più vera nel caso di una malattia complessa come il Dolore Cronico: solo dalla co-creazione e non solo dalla multidisciplinarietà si può curare il paziente che ne soffre.

Tornando all’approccio Biopsicosociale è bene sottolineare che fu introdotto per la prima volta da George Engel già nel 1977.

Tra gli elementi da considerare possiamo citare i fattori cognitivi (es. cognizioni legate alla paura e comportamenti protettivi/di evitamento); fattori sociali (es. disoccupazione, supporto sociale, relazioni nel contesto lavorativo, soddisfazione lavorativa); fattori fisici (es. forza muscolare, età, condizioni fisiche).

Dal punto di vista operativo, il medico è quindi oggi tenuto a interfacciarsi, oltre che con il fisioterapista e osteopata, anche con l’aspetto psicologico.

Un approccio alla terapia riabilitativa del dolore che non consideri gli aspetti psicologici e psicosociali dello stesso, sarà quindi destinato a esplicare solamente una parte del potenziale terapeutico che potrebbe elargire.

È stato quindi impostato un vero e proprio modello in modo da considerare nel suo insieme tutti i suddetti aspetti.

– DOLORE: In primo luogo, il professionista procede con una valutazione del tipo di dolore presentato dal paziente allo scopo di classificarlo e individuarne i meccanismi.

– FATTORI SOMATICI e MEDICALI: Un attento esame fisico è parte importante dell’intervento allo scopo di valutare la qualità del movimento e i fattori che mantengono il dolore.

– ASPETTATIVE DEL PAZIENTE: Le aspettative del paziente rispetto a intervento e prognosi.

– FATTORI EMOTIVI: È importante informarsi sulla presenza di paure legate a movimenti specifici (i cd. comportamenti di evitamento).

– FATTORI SOCIALI: Ambiente sociale, lavorativo, familiare, le condizioni di vita e gli eventuali interventi precedenti.

– MOTIVAZIONE: Valutare la motivazione e il desiderio di cambiare è fondamentale se si desidera aiutare il paziente.

Concludo sottolineando che, considerato il continuo e rapido invecchiamento della popolazione europea, la gestione del Dolore Cronico rischia di diventare un onere sempre maggiore a carico dei sistemi sanitari europei già sotto sforzo.

Archivio